carceri e coronavirusLa scuola nelle carceri e il coronavirus
di Elefteria Morosini
 

L’emergenza coronavirus ha inciso anche nelle sezioni scolastiche carcerarie, dove le attività sono state interrotte da un momento all’altro in seguito alle misure di lockdown prese dal governo Conte per tutta l’Italia. In queste realtà è stato inizialmente impossibile realizzare alcuna didattica a distanza, dati i limiti imposti dai regolamenti anche sulla circolazione di materiale cartaceo, nonché sulla difficoltà di realizzare lezioni in videoconferenza. Tuttavia la tenacia di dirigenti e docenti che operano nelle sezioni scolastiche carcerarie ha portato a dei risultati, di cui si tratta nelle testimonianze che seguono. Si tratta di esperienze didattiche relative alla sezione scolastica della casa circondariale di Opera e della scuola istituita presso l’IPM (Istituto di Pena Minorile) C.Beccaria di Milano, dove opera il CPIA (Centro Provinciale per l’istruzione per gli adulti) 5 di Milano; infine la regista Donatella Massimilla ci parla dello spettacolo “Il Decameron delle donne” realizzato con le allieve di San Vittore, ambientato in una situazione di quarantena, le cui repliche in programma nella città di Milano sono state interrotte dal coronavirus. 

 

21 febbraio 2020: si ferma la scuola nella sezione carceraria di Opera 
di Alberto Martinelli 

Lo scorso venerdì 21 Febbraio ha segnato la nostra esperienza di docenti e ha costretto tutti noi che insegniamo nella sezione scolastica del carcere di Opera dell’Istituto Benini di Melegnano, e tutti i docenti impegnati nelle sezioni carcerarie in tutta Italia, a rivedere il modo di concepire la nostra professione e il nostro ruolo. 

Un settore in parte sfuggito al grande dibattito nazionale sulle molteplici implicazioni della didattica a distanza è quello delle sezioni carcerarie. Queste infatti hanno alcune peculiarità tutte loro, a partire dal fatto, in primis, di essere inserite in un contesto più ampio, con obiettivi che vanno ovviamente oltre a quelli scolastici, e con regole e priorità diverse. 

L’attività di un docente di una sezione carceraria inoltre è inserita in un più ampio percorso di rieducazione, che al di là del lavoro strettamente didattico riguarda anche altri aspetti: il rispetto delle norme, la capacità di lavorare in un gruppo, il rapportarsi in modo costruttivo con un'istituzione, la scuola, che in molti casi riporta alla mente degli studenti-detenuti esperienze negative. 

Inoltre, anche in tempi di normalità, risponde al sistema di norme e regole della struttura carceraria, oltre che alle esigenze degli studenti e dell’istituto scolastico di riferimento. In questa emergenza la problematica si fa ancora più seria. 

La condizione dello studente in carcere 

Un errore di valutazione sarebbe pensare che, in questi giorni in cui tutti stiamo vivendo delle limitazioni che mai avremmo accettato prima, la condizione di un detenuto non sia cambiata più di tanto. La perdita di un qualunque anche minimo “diritto” acquisito costituisce invece un peggioramento enorme della vita di un recluso. Così la sospensione, per ragioni di sicurezza, dei colloqui con i familiari ha sicuramente esercitato un grosso carico emotivo sui detenuti e a questo si deve aggiungere il senso di precarietà e di incertezza acuito dal diffondersi delle notizie sulla pandemia, che è sfociato nelle rivolte dei giorni di marzo. 

Dall’altro lato non si può certo dire che noi chiusi nelle nostre case stiamo sperimentando un’esperienza assimilabile a quella del carcere: bene o male riusciamo a mantenere vivi i contatti, possiamo prendere decisioni, fare acquisti online e così via; senza contare l’aspetto forse più importante: l’assenza di una condanna. 

Qualcosa però credo possa spingere anche noi alla riflessione e all’empatia con il mondo carcerario: penso alla sensazione di dipendere da qualcosa che non controlliamo e non comprendiamo fino in fondo, una profonda mancanza del senso di auto-efficacia e una percezione del tempo che, nell’assenza di obiettivi concreti nell’immediato, tende a deformarsi. 

Cosa si sta facendo per la scuola nelle carceri 

Situazioni straordinarie ovviamente richiedono soluzioni straordinarie. 

Una circolare del 13 marzo 2020 del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia apre alla possibilità dell’utilizzo dello strumento della videoconferenza, già introdotto in occasione di colloqui con familiari e per motivi di giustizia, in deroga a quanto avviene normalmente; ora si può usare anche per ragioni didattiche legate ai percorsi scolastici e universitari. Ogni struttura di reclusione fa poi storia a sé, per ragioni legate agli spazi e ai vari regolamenti che sovrintendono i diversi livelli di sicurezza a cui sono sottoposti i detenuti. La necessità di dover rispondere al rischio epidemiologico, con le attenzioni che questo comporta, limita ulteriormente lo spazio di azione: si deve tener conto di riduzione degli spostamenti all’interno della struttura, necessità di evitare assembramenti, impossibilità di coinvolgere personale esterno, riduzione di quello interno, difficoltà/impossibilità di far pervenire materiale didattico alle classi, ecc. 

I vari istituti penitenziari stanno procedendo quindi con soluzioni diverse alla ripresa delle attività didattiche a distanza, per poter permettere la conclusione regolare dell’anno scolastico. 

L’esempio arrivato agli onori delle cronache è quello della Casa Circondariale di Massa Marittima, dove è stato attivato un progetto che prevede video-lezioni, per due volte alla settimana ed in orari specifici, nel rispetto della priorità delle norme legate alla sicurezza. Il caso di Massa è però, al momento, praticamente isolato: nella maggioranza dei casi infatti non è stato possibile, per le problematiche oggettive sopracitate, andare oltre la consegna di materiale cartaceo, confidando quindi nel lavoro autonomo degli studenti. 

Anche nella casa di reclusione di Opera, pur nell’impossibilità di utilizzare la video - lezione, si è dato il via a un percorso di didattica a distanza. I docenti possono inviare alla struttura materiali didattici, che verranno poi distribuiti ai singoli studenti. E’ prevista una fase di restituzione, in cui gli studenti potranno, con percorso inverso, far giungere compiti, esercitazioni ed eventuali segnalazioni di difficoltà ai docenti. 

Questo tipo di lavoro presenta sicuramente un momento di interazione e una possibilità di verifica di quanto recepito, anche se è chiaro che non può sostituire pienamente la didattica in presenza, a maggior ragione nei confronti di studenti per cui noi docenti rappresentiamo uno dei pochi legami con l’esterno, in un contesto in cui la relazione con una persona fisica assume un’importanza notevolissima di “apertura al mondo”. 

L'importanza dell’obiettivo 

Un aspetto da non sottovalutare nell’approccio alla didattica in carcere (ma è così diverso altrove?) è quello della motivazione. 

Gli studenti con cui lavoriamo costituiscono una realtà clamorosamente eterogenea per età, nazionalità, livello di istruzione o situazione giudiziaria, e molto diverse tra loro sono le motivazioni che portano a scegliere il percorso scolastico. Si va da chi lo inserisce all’interno di un progetto di vita su cui ci si proietta alla fine della pena, a chi cerca nella scuola semplicemente un momento di stimolo culturale; come altrove ci sono poi studenti “dediti alla causa” e altri più svogliati. 

Un tratto comune riscontrabile in particolare nelle sezioni carcerarie è però quello dell’importanza, a volte forse anche eccessiva, data al raggiungimento dell’obiettivo concreto. Questo aspetto, che potrebbe anche apparire paradossale, soprattutto in studenti a cui un diploma non cambierebbe oggettivamente la vita (come ad esempio è probabile per chi ha di fronte a sé una vita in carcere, essendo condannato a “fine pena mai”) è spiegabile se si considera che parliamo di persone inserite in una realtà estremamente ciclica e ricorsiva, in cui è facile che venga a mancare il senso di un risultato delle proprie azioni, l’auto-efficacia di cui sopra. 

Il tempo in carcere scorre in modo particolare, il rischio per il detenuto è che perda quella natura lineare e progressiva che dovrebbe avere per chi sta compiendo un percorso. Avere una “data”, una scadenza, un obiettivo misurabile, è drammaticamente importante. 

A questo si aggiunga che la frequenza delle lezioni consente una partecipazione con ciò che è “fuori”, costruisce un pur precario e parziale senso di normalità, che fa sentire più simili e vicini ai liberi cittadini. 

Mi viene in mente a questo proposito il senso di eccitazione di uno studente protagonista dell’ultimo esame di Stato di fronte all’idea che la prova si svolgesse in contemporanea con gli studenti di tutta Italia. Questa sincronia lo faceva sentire partecipe di quell’evento collettivo, di tutti quei riti che a noi spesso appaiono solo inutilmente ripetitivi: il toto-tema sugli argomenti della prima prova, la “notte prima degli esami”, i commenti alle tracce… 

Prepararsi agli esami 

A livello normativo la scuola in carcere segue le stesse direttive di tutte le scuole pubbliche, pertanto allo stato attuale delle cose, in mancanza di indicazioni diverse dal Ministero, il percorso di avvicinamento al termine dell’anno scolastico e in particolare agli esami deve seguire le stesse scadenze, pur nelle differenze con cui si cerca di agire in questa emergenza. 

Utilizzare la didattica a distanza per un percorso in carcere è però molto più complesso, e sicuramente meno efficace, che in una scuola tradizionale, per la mancanza di mezzi e per le necessità dell’ambiente specifico. 

In una situazione generale in cui è difficile per tutta l’Italia formulare previsioni a media-lunga scadenza, è però importante mantenere viva l’esperienza delle sezioni scolastiche carcerarie e adottare tutti gli strumenti possibili per garantire il compimento regolare dell’anno scolastico e lo svolgimento degli esami anche agli studenti detenuti.

 


 

Quando la didattica a distanza supera i confini del carcere 
di Maura Borghi, Davide Polce e Pietro Cavagna del CPIA 5 Milano, Centro Provinciale Istruzione Adulti, sezione “IPM C. Beccaria”, Milano cpia.milano@gmail.com 

I docenti del CPIA (Centro Provinciale per l’istruzione per gli adulti) 5 di Milano, la scuola pubblica statale deputata alla istruzione degli adulti che annovera tra i 9 plessi tra cui la scuola della Casa Circondariale San Vittore e dell’Istituto di Pena minorile C.Beccaria, raccontano come hanno affrontato la sospensione delle lezioni, che nei primi giorni ha ostacolato il lavoro con i loro studenti, con i quali non è stato semplice organizzare la didattica a distanza. Ecco la loro esperienza. 

“Operiamo nella scuola che a Milano svolge per lo Stato corsi per adulti ed adolescenti immigrati, soprattutto di italiano L2, inserendoli nel canale dell’istruzione secondaria e della formazione professionale. Gestiamo migliaia e migliaia di studenti cercando di avvicinarci il più possibile alle necessità delle persone con un'offerta formativa ricca di progetti e relazioni con il mondo sociale culturale e lavorativo della città. Ci occupiamo anche dei test L2 per l'ottenimento del permesso di soggiorno dalla prefettura di Milano. 

Ora la nostra scuola, come tutte le altre della Repubblica, ha sospeso l’attività didattica e studenti e docenti non possono incontrarsi negli spazi scolastici, ma ha attivato testardamente ogni possibilità consentita per la didattica a distanza: la sezione homeschooling del sito della scuola, la piattaforma Google suite for education, un canale youtube dedicato, una radio web, contatti e scambio con i social…. 

 

I corsi per stranieri 

Siamo perfettamente consapevoli dei limiti e dei problemi che questo tipo di didattica comporta, ma siamo comunque motivati e caparbi nel voler svolgere il nostro lavoro, ovvero raggiungere gli studenti ed offrire loro opportunità di crescita culturale umana e professionale. In verità la nostra comunità educante soffre molto i condizionamenti della didattica on line e della “pedagogia della distanza” in quanto abbiamo fondato la nostra mission scolastica sulla base della relazione interpersonale, sullo scambio empatico, sulla “contaminazione” interculturale etica e motivazionale, condizioni che ora vengono a mancare nello sviluppo della nostra attività. 

I nostri studenti stranieri adulti e minori non sono forniti di device di ricezione: pochi hanno un PC, pochi un Ipad o un tablet, quelli che hanno un telefono cellulare lo condividono nei gruppi familiari per soddisfare bisogni multipli di lavoro o di scuola dei figli. La didattica a distanza presenta effettivamente rischi di esclusione e disuguaglianza per le fasce sociali più fragili ed a rischio di marginalizzazione. 

 

La scuola nell’IPM C. Beccaria e nel circuito penale 

In particolare il mondo dell’istruzione carceraria rischia di essere compromesso o dimenticato dallo sviluppo dei metodi didattici che necessitano una connessione internet ed una libera fruizione delle informazioni e comunicazioni. In questo quadro presentiamo con soddisfazione un esempio di didattica a distanza che ha superato i muri e le sbarre del carcere, quelle dell’IPM C. Beccaria di Milano e delle comunità di accoglienza dei minori ristretti. 

Nei primi giorni dell’emergenza il lavoro svolto dagli insegnanti è stato soprattutto quello di reperire informazioni. Nello specifico sono stati contattati la Direzione e la responsabile dell’Area pedagogica dell’IPM “C. Beccaria”, la Direzione dell’USSM, i responsabili delle Comunità e le Associazioni del terzo settore in rete con la scuola per poter organizzare la didattica a distanza.

Successivamente il lavoro di tutti i docenti è stato quello di preparare delle dispense, esercitazioni e verifiche da inviare a tutti gli studenti seguiti, in quanto questa era, al momento, l’unica modalità per non interrompere il percorso scolastico. Il primo invio è stato effettuato tra il 6 e 11 marzo; questo perché in quei giorni la situazione giuridica dei ragazzi ristretti era molto “fluida”, prevedendo collocamenti in comunità, permanenza a casa, trasferimenti in altri Istituti. Successivamente all’invio del materiale sono stati contattati tutti i referenti dei vari servizi per avere un primo feedback e risolvere eventuali criticità per poter procedere ad un secondo invio. 

L’adozione di Google Suite For Education come piattaforma ufficiale del CPIA 5 Milano e in particolare l’applicazione Meet è stato il punto di svolta per la nostra didattica. Questo è stato possibile anche grazie alle Direzioni dell’IPM, e delle Comunità che hanno permesso ai nostri studenti di effettuare i collegamenti Meet con la scuola e hanno messo a disposizione un educatore con il compito di facilitare l’organizzazione all’interno. 

L’organizzazione dell’IPM e delle Comunità è stata del tutto stravolta dalla situazione di emergenza e ha modificato spazi e tempi della scuola; questo ha spinto gli insegnanti a sviluppare una didattica diversa. Ogni collegamento infatti prevede la partecipazione di più docenti che intervengono in modo corale con una programmazione che propone UDA condivise e multidisciplinari. Questa modalità è risultata per i ragazzi coinvolgente ed efficace come testimonia, tra l’altro, il feedback degli educatori. 

Gli studenti coinvolti nelle nostre attività sono ad oggi 27 e frequentano i corsi di Alfabetizzazione/Italiano per stranieri, Primo Livello - Primo Periodo e Primo Livello - Secondo Periodo. Oltre che in IPM gli studenti sono distribuiti in cinque Comunità, in permanenza a casa o secondo altra misura restrittiva. Il costante lavoro di confronto tra tutte le parti coinvolte permette di affinare e calibrare l’attività scolastica e superare quelle difficoltà quotidiane determinate anche dalla situazione ristretta dei nostri studenti. 

Infine una nota di speranza è rappresentata dal fatto che nonostante la difficoltà del periodo la scuola, il CPIA 5 Milano, rimane comunque un punto di riferimento per i ragazzi dell’area penale sia interna che esterna, come dimostrano le continue segnalazioni di presa in carico di nuovi studenti. 

Auspichiamo che questa esperienza positiva possa essere una spinta innovativa e motivazionale per il nostro lavoro, per non fermarsi davanti alle difficoltà e non essere travolti dalle condizioni avverse. 

La scuola chiusa in Italia è una ferita aperta un'esperienza amara che rimarrà nella coscienza e nella memoria dei giovani e degli studenti che non hanno potuto vivere pienamente questa dimensione umana sociale e culturale. Noi in realtà abbiamo continuato a fare solo il nostro lavoro.” 

Sul sito del CPIA 5 milano si trovano indicazioni per la didattica a distanza, video, corsi di arabo per i docenti, la RADIO PCIA MILANO e molto altro.

 


 

Il “Decameron delle donne” di San Vittore, dal palcoscenico alla quarantena
di Donatella Massimilla direttrice artistica - CETEC Centro Europeo Teatro e Carcere 

Sono molto felice di intervenire sulla mia esperienza di teatro e carcere in questo spazio che unisce il mondo della scuola a quello dei luoghi reclusi. Pedagogia e arte si fondono quando attraversano le mura delle carceri, questa è stata la mia via in tanti anni, quasi trenta, di ricerca teatrale a San Vittore e non solo. 

Ho iniziato da regista di teatro chiedendo a Luigi Pagano di avviare un Laboratorio teatrale al femminile nel 1989. Avevo appena debuttato al Teatro Verdi di Milano con “ Il Decameron delle donne”, uno spettacolo che parlava attraverso una metafora al femminile di isolamento e di reclusione, ispirandosi ad un romanzo della scrittrice russa Julia Voznesenskaja. Intellettuale dissidente e femminista, la Voznesenskaja visse confinata in Siberia per diversi anni e solo dopo l’esilio in Germania ha raccontato in un romanzo molto teatrale la storia di un reparto maternità isolato a causa di un’infezione e dell’idea nata nelle giovani donne di raccontarsi a turno delle storie a tema, come nel Decameron di Boccaccio. 

A San Vittore lavorai con un gruppo di donne di diverse età e provenienza, alla fine del laboratorio teatrale di un anno nacque “Viaggio con Alice”, il nostro primo spettacolo ispirato al mondo di Lewis Carroll. Il “Decameron delle donne” rimase nel cassetto. 

Ci sono voluti trent'anni e il desiderio di festeggiare questo lungo percorso di lavoro per riscrivere, insieme alle attrici detenute, un nuovo Decameron dove le storie stesse delle donne recluse riecheggiano fra musica e canzoni, in un dialogo con le storie sovietiche originarie. 

 

Una quarantena nella quarantena 

Un debutto felice quest’anno, al Piccolo Teatro Grassi e poi la richiesta di tante repliche in altri luoghi della città, dalla Palazzina Liberty al Cortile delle Armi. lo spettacolo narra di quarantena e di un'infezione che isola le puerpere in ospedale. Avevamo già i permessi-premio in mano per andare alla Palazzina Liberty il 29 febbraio, quando il corona virus ha sospeso la nostra tournée. Una quarantena nella quarantena per tutti noi e in particolare per le nostre allieve-attrici. 

L’esperienza di isolamento e di privazione della nostra libertà, nuova per noi tutti, improvvisamente ci ha fatto piombare in una realtà da cui noi artisti, abituati da anni ad andare nei luoghi di reclusione, ci sentivamo “fuori”, “esclusi”. Dopo pochi giorni di isolamento e di silenzio abbiamo cominciato a scambiarci le prime mail, messaggi provenienti dalle carceri sia di San Vittore che di Bollate, dove alcune delle mie allieve erano state trasferite, scritti intrisi di preoccupazione per noi all'esterno del carcere, testimonianze di affetto, che esprimevano responsabilità, sostegno, solidarietà. 

Credo che da questa esperienza ne usciremo tutti diversi, sia “Dentro” che “Fuori”. Dalla mia prima video-chiamata con una delle allieve-attrici del CETEC nel carcere di Bollate, che ha ottenuto il permesso di comunicare con me a distanza, colgo segnali che mi parlano di valori e di progetti comuni, di sogni e visioni che vorremmo fortemente trasformare in utopie concrete. 

In tutti questi anni e nel corso di tante esperienze d’eccellenza, sia in Italia che all'estero, il Teatro in carcere ha dimostrato di essere un linguaggio adatto al cambiamento e alla trasformazione, a svelare talenti nascosti o non valorizzati, uno stimolo a provare attraverso un personaggio a divenire una persona cosciente dei propri errori e della possibilità di non ripeterli. 

Credo fermamente che la scuola in carcere dovrebbe sempre comprendere l’insegnamento del teatro, fatto da esperti artisti e artigiani con una formazione antica e moderna, originaria e innovativa, capace di avvicinare persone anche provenienti da diverse culture, attraverso un lavoro certosino sul corpo, sulla voce e poi anche sulla parola. 

Proprio perché le parole sono importanti, il nostro prossimo progetto sarà composto da tutte le lettere e i messaggi che ci siamo inviati in questi ultimi mesi, dalle canzoni pensate per le melodie da cantare insieme. Se fosse possibile avere dei tablet e una connessione dedicata, sono sicura che le prove di teatro potrebbero riprendere anche a “distanza”, perché la relazione fra discepolo e maestro, se è vera, non può essere interrotta da mura che separano: il desiderio di comunicare vince qualsiasi separazione. 

Concludo con un appello e una speranza: teniamo conto tutti, chi sta dentro e chi sta fuori dal carcere, da questa esperienza, di come cultura, arte, scuola e formazione nutrano anima e corpo e aiutino a superare l’incomunicabilità e il senso di solitudine ed isolamento. 

In un Video viene presentato lo spettacolo dalle sue stesse interpreti; segue un’intervista a Donatella Massimilla, che da trent'anni porta il teatro in carcere: «Una donna rinasce sempre» - VanityFair.it